spip_tete_arriere
 

66 mostra internazionale d’arte cinematografica

I comme Intervista

Nous n’avons pas réalisé beaucoup d’entretiens à Venise. Un en tête à tête avec Vimukthi Jayasundara : la vidéo déjà en ligne s’accompagnera bientôt d’une retranscription de la conversation. Nous tenions également à nous entretenir avec Francesca Comencini. Quoi qu’en dise la presse italienne, condescendante avec le minable Bariaa, excitée par l’auteurisme vide de Persécution, éblouie par le dispositif militaire de Lebanon mais insensible à l’intelligence de Lo Spazio Bianco, ce dernier fut de loin le plus beau film de cette édition vénitienne.
L’entretien est court et, pour l’instant, en version originale – une véeffe est à venir. Pire : il s’agit d’un tour de table. Exercice frustrant dont le dispositif – cinq ou six journalistes, une question par tête – interdit de rebondir sur une réponse, le tour de table fut inventé pour protéger les cinéastes et les films du risque d’une véritable confrontation. De fait, dans la très grande majorité des cas, les questions frôlent les arguments généraux et les réponses sont du même acabit. De quoi rassurer les producteurs, notamment Américains, toujours peureux que la moindre parole échappe au jargon routinier et puisse gêner la vente du film. Mais il semble que cela convienne tout à fait au type de couverture que les rédactions exigent de leurs chroniqueurs, ici à Venise : non pas parler des films, mais plutôt repérer, principalement au travers des rumeurs rebondissant de canards en canards, ce qui dans la vie privée des membres de l’équipe de tournage et accessoirement dans les synopsis des films, peut donner matière à scandale. C’est pourquoi on aura beaucoup entendu parler de films nuls voir irregardables, mais fabriqués exprès pour susciter la controverse locale. Pas étonnant qu’au delà de quelques commentaires positifs mais génériques, aucun effort critique n’ait accompagné dans les grands journaux le passage du Spazio Bianco.

È stato detto dello Spazio Bianco che è un film femminile, le va questa definizione ?
Sì, mi piace. Perché lo è. Molte scrittici e registe respignono l’idea di una specilità del femminile nell’arte, e in particolare nell’arte cinematografica. Non è il mio caso. Ritengo che esista uno sguardo femminile, e se qualcuno vede il film in questa maniera sono contenta.

Qual’è questo sguardo ?
È difficile definirlo formalmente. Vuol dire porsi dal punto di vista di una donna. Sembra una banalità, una cosa semplice. Invece è difficile da ottenere, c’è da scavalcare qualcosa di titanico, un muro enorme. Limitiamoci al caso del cinema, si tratta di un ambito per tradihione e storia dominato da una voce maschile, tanto che persino le donne che lo fanno hanno interiorizzato il codice. Liberarsene è un percorso.

Accanto alla protagonista hai creato dei personaggi femminili secondari ma importanti. In particolare, quello della magistrata, che non è nel libro.
Alcuni anni fa, facendo delle ricerche per un documentario, avevo incontrato una celebre magistrata italiana che di nome fa Ilda Boccassini, nota ai cittadini di questo paese per aver condotto delle indagini importanti e rischiose, tra le quali quella intorno all’omicidio del suo collega Giovanni Falcone. A questo suo impegno pubblico corrisponde un’immagine mediatica di donna forte, determinata. Lei mi ha raccontato un aspetto di sé e del suo lavoro che invece è sconosciuto. Accettare un indagine come quella sulla morte di Falcone, è una scelta estrema. Oltre evidentemente al rischio personale immediato, essere uccisi, vuol dire allontanarsi dalla propria famiglia per tre anni. "In questi casi - mi ha detto - non puoi chiederti se andare oppure no, devi solo prendere la porta e far finta che dietro non ci sia niente". Non ho realizzato quel documentario. Ma questa frase mi è rimasta in testa ; ci ho ripensato durante la redazione della sceneggiatura perché mi sembrava un esempio potente di quello che vuol dire essere madre.
Lo Spazio bianco è un film sull’attesa. Un’attesa che si dilata oltre misura. Mi è stato subito chiaro che avrei dovuto conservare questo vuoto nella sua integrità, ma al tempo stesso che avrei dovuto farlo muovere. Allora ho aggiunto dei personaggi di donne. Li ho voluti intorno a lei come se essi fossero degli specchi proiettati in avanti, nel futuro. Questo magistrato donna mi sembrava uno specchio del futuro possibile di Maria, un caso estremo di qualcosa che è vissuto da tutte le madri ; come tutte le madri, anche Maria sarà sempre confrontata a quel tipo di scelte in cui la carriera o altro si oppone alla maternità, all’educazione dei figli. Mi piaceva che a far riflettere su questo aspetto della vita di una donna fossero le parole di Ilda Boccassini che, ripeto per la terza volta, è un caso estremo di una condizione ordinaria, perché mi avevano molto toccata.

Che cosa vuol dire per te lo « spazio bianco » ?
Quel titolo, che è lo stesso del romanzo di Valeria Parrella da cui è tratto il film, é un idea assolutamente letteraria. Credo che l’autrice abbia letto da qualche parte un commento di Proust su Flaubert. Se la memoria non mi tradisce, Proust avrebbe dichiarato di amare in Flaubert soprattutto i suoi spazi bianchi. Gli spazi bianchi sono determinanti per un romanzo, essi determinano dei vuoti, delle linee invisibili che ne strutturano i pieni. Valerai Parrella cita direttamente lo spazio bianco in un passaggio del suo libro che ho conservato nel film. All’esame, Maria aiuta un suo allievo che non riesce più ad andare avanti, suggerendogli di lasciare uno spazio bianco e di continuare a scrivere dopo, e aggiunge : « quello che scriverai dopo sarà nuovo. » Banella non si limita ad utilizzare questa idea letteraria come un semplice strumento di scrittura ; la estende fino a farne un motivo, un punto di vista sotteso alla storia di Maria, che la nascita prematura di sua figlia Irene taglia dall’esistenza ordinaria, calandola in un limbo tra la vita e la morte durante il quale lei non è più padrona di agire, non può riempire di nulla le proprie giornate né programmare alcunché ; può soltanto cercare di rimanere in piedi, possibilmente dal lato della vita. Lo spazio bianco è questo stato, in una partola : l’attesa.
Quanto a me, io vedo gli spazi bianchi come delle eclissi della vita. Che molto spesso fanno parte della maternità, della gravidanza. È come essere poggiati su un suolo incerto, su un vulcano pronto ad esplodere, attraversato da scosse telluriche. In questo senso sembrano delle attese immobili, mentre invece sono mosse da tutta una serie di avvertimenti, campanelli, soprassalti. Ovviamente nella fotografia del film, con Luca Bigazzi, abbiamo enfatizzato il lato estetico dello spazio bianco. Un esempio, l’ospedale di che abbiamo ricostruito in teatro è abbacinante, è veramente bianco.

Il corpo della donna è un tema molto politico. Specialmente in Italia.
La scintilla iniziale del film è più intima. Non so come dirlo altrimenti : più intimo nel senso che all’origine non c’è la volontà di esprimere una tesi politica, ma il fatto che l’argomento del libro mi ha toccata personalmente. Però, effettivamente, raccontare questa vicenda in questo momento è, ritengo, un atto estremamente politico. Sul corpo della donna si stanno giocando le battaglie più toste e definitive di questo paese. Sul corpo della donna in generale con una particolare insistenza sulla. Scrivendo il film avevo in mente delle immagini che poi ho ridimensionato ma che sono comunque presenti, immagini di corpi femminili circondati da guardie con pistole, da maschi che gli stanno intorno, da medici tutti maschi, da carabinieri che fanno irruzione in un reparto ospedaliero… C’è una frontiera tra il privato e il pubblico tra il corpo femminile e il corpo sociale che la politica sta invadendo massicciamente, ridisegnandone il confine ; non è un fenomeno solo italiano, ma in questo paese si sta procedento a tutta una serie di esperimenti politici e legislativi inauditi che si giocano sui corpi delle donne. In questo senso questo racconto ha una valenza politica. Che io ho senza dubbio amplificato. Mi piaceva l’idea di andare contro il discorso generale. Le donne che combattono per la liberta di scelta sul proprio corpo vengono rappresentate dalla pubblica opinione come per forza pro aborto, contro la vita. Questa rappresentazione rovescia la realtà delle cose. È una trappola terribile per le donne. Perché nessuna donna è per l’aborto. Le donne danno la vita. Sono loro che sanno cos’è. Sono loro le guardiane della vita. Dire questo significa rimettere sulla propria testa il mondo invertito prodotto dal pensiero comune e cominciare a parlare della maternità dal punto di vista femminile.

Prima hai parlato di specchi. L’impressione è che all’inizio il personaggio di Maria abbia una visione vitrea, trasparente della realtà esterna. Il suo ex le mostra il bambino neonato, lei nota solo i mobili. È meno un’indifferenza che un’incapacità di vedere. Poi, dopo il parto prematuro i vetri cominciano a reinviarle delle immagini, a diventare specchi per dirla con le tue parole.
Ogni mattina lei per andare al lavoro prende la funiculare di Montesanto. Per me, quel tram attraversa uno dei più bei luoghi di Napoli, del mondo. La carrozza scende attraverso un pendio stretta tra i muri dele case, vicinissima alle finestre degli appartamenti che in qualche caso sfiora appena. Tanto che sembra di poter entrare. Si avverte l’odore del caffé, si assiste a scene di vita familiare, si percepisce il suono della televisione o delle radio. Maria li guarda attraverso il vetro. Nel film ovviamente ho utilizzato degli attori. Li guarda senza sentirsi coinvolta perché lei, dietro la sua libertà anche allegra, vive in una forma di solitudine. Quando va a comprare il biglietto per il cinema ne chiede inizialmente due, poi si corregge. Succede alle persone che vanno al cinema da sole. È successo anche a me. Hai l’abitudine di andarci in due, poi improvvisamente ti ritrovi sola. Quell’errore è forse il segno che Maria non si è ancora abituata alla libertà recentemente acquisita. Le due bligliettaie da dietro al vetro le rispondono : « è sola ? non c’è problema ». Lei è come chiusa in questa sua solitudine. Quello che succede è che dentro lo spazio bianco, a contatto con la bambina che lei vede continuamente, anch’essa, attraverso un vetro, Maria comincia a diventare madre, a costituirsi come madre. A quel punto si apre alle altre donne, prende ad essere maternante con le altre ragazze, a spiegare ad una di loro come funzionano le maczzine incubatrici ; comincia a rompere la propria solitudine e a vivere una prospettiva di solidarietà e quindi di riconoscimento e di coinvolgimento nella vita degli altri.

Da come metti in scena l’arrivo di Maria nell’ospedale, sembra che lei sia lì per abortire, soltanto dopo si capisce che ha avuto un parto prematuro. È una mia impressione ?
No è così. Nella scena precedente lei dice : « io non lo voglio questo bambino. » E là, vroum ! una dissolvenza al bianco cala sull’immagine e quando questa riappare siamo in ospedale, vediamo Maria che si lava le mani, ha un buco per la flebo sul braccio. Il pubblico non può ancora sapere che sono passati quatro mesi tra una scena e l’altra. Viene proprio da dirsi : che cosa ha fatto ? In sceneggiatura avevamo scritto una scena più esplicita. Poi l’abbiamo sviluppata in maniera più ambigua. C’è un altro punto del film in cui abbiamo usato un’ellissi. E in entrambi i casi, questi salti sono introdotti da delle dissolvene al bianco molto lunghe, sembra quasi che il film sia finito. La seconda volta è quando lei cammina per le strade di Napoli per andare all’ospedale ad assistere il momento in cui i medici staccano la spina e il bambino respira da solo per la prima volta. Per me, quella corsa tra le strade deserte di Napoli è il suo vero parto.
 

Propos recueillis par ER et OW, mis en forme par ER.

par Eugenio Renzi
mercredi 9 septembre 2009

Accueil > évènements > festivals > Venise 2009 > I comme Intervista